L’emergenza causata dal coronavirus ha generato una situazione impensabile e mai vissuta. All’improvviso, ci sono state tolte sicurezze, ci è stato richiesto di cambiare abitudini, rapporti con la società civile, libertà personali, le relazioni con i bisogni primari della società.
Come bambini smarriti e sgomenti, timorosi e impacciati, ci troviamo chiusi nelle case, in una città irriconoscibile. Ciò non è un castigo, come alcuni gridano, ma una occasione per riconoscere la propria fragilità umana, da non nascondere bensì da condividere con discrezione e tenerezza, restituendola arricchita di senso al cammino della vita. Questi giorni difficili e faticosi aiutano a interpretare una svolta che immerge l’umanità in una condizione storica nuova, dove saranno riviste illusioni e abitudini a vantaggio di una cultura di prossimità e convivialità.
Una situazione provvidenziale anche per i credenti, che mettendo al centro della loro esperienza i fondamenti della fede, della preghiera e del dialogo con il trascendente, dovranno rivedere l’attuale fascino delle tradizioni e un certo devozionismo. Riceviamo in questo periodo di isolamento una significativa lezione. Il disorientamento avvertito dinanzi alle chiese vuote, agli altari spogli, alla sospensione delle Messe con partecipazione di popoli, al digiuno eucaristico, ci obbliga a riscoprire la dimensione religiosa e la bellezza dell’appartenenza ecclesiale. Siamo incoraggiati a tornare all’essenziale, alle radici, al vangelo, alla gioia del dono di sé dentro le mura domestiche. Se Cristo è sempre con noi, ogni uomo santifica il luogo del suo vissuto. Quanta benedizione nei gesti concreti di vicinanza verso le persone di famiglia: una carezza ai nonni, un abbraccio ai bambini, un bacio alle persone che amiamo.
L’attenzione alle piccole e semplici cose ricorda che la presenza di Cristo non si limita nella sacralità del tempio. Perciò, pur non potendo partecipare al sacramento dell’Eucaristia, ne sperimentiamo l’efficacia a casa nostra, testimoniando la carità vicendevole. In realtà i giorni oscuri che attraversiamo sono per le nostre famiglie opportunità di relazioni ispirate all’ascolto, alla comprensione reciproca, alla compassione. In tal modo le realtà per le quali ci affanniamo e che a volte finiscono con il dominarci, ritroveranno la giusta misura.
Chissà se la sosta forzata nelle mura domestiche non ci educhi a un rapporto fatto di accoglienza e pazienza, a un linguaggio più comunicativo e amorevole verso chi ci sta accanto. Ciò diventa vero anche per coloro della porta accanto che non hanno il dono della fede, ma come figli amati da Dio possono trovare fiducia e speranza nella forza dell’amore per i propri cari.
Non sappiamo cosa ci attende, ma siamo certi che la storia non finisce nel vuoto. Respiriamo lo splendore del Risorto che ha già svelato il mondo dentro e fuori di noi.
+ Vincenzo Pelvi