È stato presentato questa mattina nella sala consiliare di Palazzo di Città il progetto delle ‘Pietre d’inciampo’, per ricordare le vittime locali di deportazione nei campi di concentramento nazifascisti.
“Il numero dei militari -divisi tra ufficiali e soldati- internati dopo l’armistizio dell’8 settembre, che hanno pagato la scelta di non rimanere fedeli all’alleanza nazi-fascita e di non aderire alla Repubblica Sociale Italiana è stimato in oltre 600mila,” ha spiegato Saverio Russo, docente di Storia moderna all’università di Foggia. Trentamila erano i pugliesi prigionieri, tremila dei quali non tornarono più, morti sia nei campi di sterminio che durante i trasferimenti. L’ANPI provinciale in collaborazione con l’Archivio di Stato (prezioso il lavoro della ricercatrice Costanza Di Muro) è riuscita a individuarne 123 originari di Foggia e 1200 dell’intera provincia, ma è un elenco approssimato per difetto. Così come sono probabilmente pochi gli otto foggiani (Pasquale Crisci, Antonio Rossetti, Giuseppe Bruno, Umberto Donatelli, Amedeo Guerra, Salvatore Conte, Luigi Del Sonno, Giuseppe Russo) deceduti nei campi, di cui è stato possibile ricostruire il tragico –ed eroico- percorso umano.
“La nostra iniziativa è mirata a sviluppare una memoria diffusa, mirata a garantire dignità alle vittime e a stabilire un collegamento con le scuole e le nuove generazioni, per non dimenticare mai orrori ed esperienze che non devono mai più ripetersi” le parole di Michele Galante, presidente provinciale ANPI.
“Le persone che andremo a ricordare vanno considerate a pieno titolo protagoniste della Resistenza italiana, che non è stata soltanto quella di chi ha combattuto militarmente i nazifascisti, ma anche quella di chi si è opposto a quel regime sacrificando la propria vita o vivendo esperienze drammatiche che hanno lasciato un’impronta indelebile” ha sottolineato Roberto Lavanna, sociologo iscritto all’ANPI.
Le ‘Pietre d’inciampo’ sono delle piccole targhe in ottone che vengono poste in corrispondenza dell’abitazione della vittima o del luogo in cui avvenne la cattura, con incisi i dati personali -nome e cognome, data di nascita, luogo di deportazione e data di morte- in doveroso contrasto con il numero di matricola con cui veniva indicata nei campi di sterminio. “E’ un’iniziativa alla quale abbiamo aderito con convinzione e condivisione – in particolare sono stati coinvolti anche la sindaca Episcopo e gli assessori Galasso ed Emanuele – perché una comunità si fonda sulla memoria, sull’identità, e ricordare le vittime è un modo per dare un senso al loro sacrificio ed essere accanto ai loro familiari” ha detto Alice Amatore, assessora alla Cultura. “Mancano però ancora notizie che possono essere utili per la collocazione esatta delle targhe, in fedele rispondenza all’idea originaria, e confidiamo nella collaborazione delle persone più informate o legate da vari gradi di parentela, per potere completare il progetto con l’allocazione delle stesse” ha continuato.